Proprio ieri mi è capitato di dover far fronte ad una cosa che da tempo inconsciamente allontanavo. A causa dell’incidente che abbiamo avuto qualche settimana fa, Francesca si è dovuta sottoporre ad alcuni trattamenti osteopatici: le costole sono state per lei un’ulteriore sfida da affrontare, una zona del corpo dolorante e particolarmente sensibile in seguito all’intervento di mastectomia di due anni fa.
Per chi non lo sapesse, Francesca non ha una tetta. Ve lo dico così, nuda e cruda, perché questo è il modo che usa lei stessa quando si racconta, davanti a decine di sconosciuti durante i nostri eventi. Francesca si è ammalata di tumore al seno, non ha una tetta e ha deciso di non ricostruirla. Al suo posto ora c’è una bellissima cicatrice di 28 punti di sutura che la attraversa, dall’ascella fin sopra allo stomaco. Dico bellissima perché i medici dicono che è bellissima, che è stata trattata bene e che il chirurgo è stato un mago. E’ bellissima per quanto una cicatrice che ricorda una malattia possa esserlo. Per me è bellissima semplicemente perché mi ricorda ogni giorno che Francesca è viva.
Tornando a noi, dovete sapere che io sono ipocondriaca. Se qualcuno mi descrive il suo mal di pancia, a me quel mal di pancia viene in automatico, funziono così. E mi impressiono facilmente, soprattutto quando vedo del sangue o penso alle fratture scomposte. Ho sempre guardato la cicatrice della persona che amo senza svenire, questo è tutto. Ma non sono mai andata oltre. Fino a poche ore fa non sono mai riuscita ad accarezzarla, ma non per chissà quale motivo… forse avevo soltanto paura di darle fastidio o di farle male in qualche modo. Proprio ieri invece la nostra osteopata di fiducia mi guarda e mi dice: “Bene, è ora di lavorare su questa cicatrice! Sei pronta Ciarina? Dovrai massaggiarla tu, tutte le sere!” Credo di essermi immobilizzata. Devo essere sembrata proprio stupida, e mi ci sono anche sentita per qualche minuto.
Poi è arrivata la sera, e ho chiesto a Francesca se le andasse di sdraiarsi per poter provare a lavorare insieme sulla ferita. “Certo” mi ha detto quasi ridendo. Mi ha preso l’indice e l’ha accompagnato per tutta la lunghezza della cicatrice, 18 centimetri che possono sembrare infiniti, ma che per me sono stati semplicemente una piccola dimostrazione d’amore in più. Mentre trattengo il respiro sento la pelle farsi meno spessa, le costole muoversi a ritmo del suo battito e mi accorgo di aver dato una carezza al passato, a ciò che non c’è più e che ha lasciato uno spazio. Solo allora ho capito perché Francesca parla sempre di spazio e non di vuoto. Per quanto mi riguarda, quello che ho trovato ha un valore inestimabile: è la mia scorciatoia per arrivare dritta al cuore.
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